Dall’esame dell’esistente emerge che il mondo della terza età è complesso e variegato. Nella fascia dei soggetti che potremo definire di età adulta più elevata c’è oggi, rispetto al passato, un minor tasso di attività, che è derivato dal vecchio sistema pensionistico e dall’estensione delle pensioni di anzianità, che fino a poco tempo fa prescindevano dall’età anagrafica e si basavano solo sull’anzianità contributiva. Basti pensare infatti che coloro che si sono inseriti nel mercato del lavoro intorno a 20 anni hanno raggiunto i 35 anni di contribuzione, previsti per il conseguimento della pensione, intorno ai 50-55 anni, anticipando a tale età l’uscita dal mercato del lavoro. In seguito al passaggio da una economia di tipo agricolo, in cui l’anziano deteneva il potere effettivo, ad una di tipo industriale o addirittura post-industriale, in cui il potere è detenuto da chi produce il reddito, l’anziano e chi è fuori dal mercato del lavoro é stato emarginato e reso anche psicologicamente dipendente da chi lavora e tale situazione si è progressivamente aggravata con l’invecchiamento della popolazione. Si pone allora il problema di ridare la dovuta importanza a costoro, per esempio, attraverso inserimenti in nuove strutture di carattere sociale, che possano restituire il ruolo che a loro compete, rendendoli soggetti di grande utilità sociale come protagonisti attivi e non solo come fruitori passivi di iniziative, anche se positive, come l’università della terza età. Se poi estendiamo il discorso anche all’altra fascia d’età che comprende i più anziani, bisogna considerare che per la prima volta nella storia dell’umanità l’individuo non ha demandato al giovane il suo sostentamento da anziano, ma si è costruito nella sua vita attiva delle forme di assistenza attraverso la pensione. Gli anziani più ricchi infatti possono “terziarizzare” le proprie necessità con il ricorso a delle persone per lo più straniere, per le quali non a caso è stato coniato il neologismo di “badanti”. Il problema però si presenta per la maggior parte delle persone, che per le varie congiunture economiche si sono visti diminuire il valore della propria pensione in termini di potere di acquisto. D’altra parte in una famiglia di tipo patriarcale poteva essere suddivisa l’assistenza all’anziano fra i numerosi componenti, oggi invece il nucleo familiare si è notevolmente ridotto ed è costretto anche in spazi abitativi sempre più esigui. Per questo motivo è necessario che la struttura pubblica ed in primis la Regione, come ente locale ed autonomo, assista queste famiglie, sia economicamente, nel caso di necessità, sia attraverso supporti di tipo specialistico, per esempio medico-infermieristico, sia attraverso una detassazione, perché sia garantita all’anziano la permanenza nelle mura domestiche, circondato dall’affetto dei propri cari, piuttosto che essere ricoverato in apposite strutture. Qualcosa è già stato fatto in proposito, ma molto rimane ancora da fare, sia sul piano della prassi, sia in termini di sensibilità e di percezione del problema. Basti pensare per esempio che i medicinali per la cura e la prevenzione dell’osteoporosi, che, come si sa, è una malattia che colpisce soprattutto gli anziani e che, se non curata, comporta una grave invalidità, non sono dispensati dal sistema sanitario, neppure a coloro con rischio conclamato, se non ad una piccolissima categoria di persone. Tra l’altro, al di là del dolore e della sofferenza umana, si rivela una scelta miope anche sul piano economico, in quanto non si considerano i costi, in caso di frattura, per far fronte ad un intervento, al periodo di ospedalizzazione e di conseguenteriabilitazione.
Prof.ssa Noemi Di Gioia.
Prof.ssa Noemi Di Gioia.
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